L’azione di riduzione di donazioni fatte in vita dal de cuius e di disposizioni testamentarie lesive della quota legittima: vediamo a cosa serve e come si sviluppa.
Sappiamo che la legge assegna una quota di eredità predeterminata ad una determinata platea di successibili, detti eredi legittimari, una classe più ristretta rispetto alla più larga platea di soggetti che la legge chiama alla successione, rappresentata dai componenti del nucleo famigliare ristretto, e cioè il coniuge, i figli e gli ascendenti (i genitori).
Infatti, il principio della libertà testamentaria deve conciliarsi con la necessità che almeno una parte del patrimonio sia assegnata al nucleo ristretto di eredi più prossimi, anche al fine di consentire la perpetrazione del proprio patrimonio, e a questo scopo la legge assegna a questa categoria di successibili una quota dei beni del defunto, che non può esser intaccata dalle eventuali disposizioni testamentarie e dalle donazioni in vita, chiamata quota di legittima.
Quando la quota di legittima viene violata dal de cuius, per effetto di atti di disposizione testamentaria o di donazioni, si ha una lesione della legittima, cui il nostro ordinamento pone dei rimedi ben precisi.
Al fine di reintegrare la quota di legge, occorre esercitare l’azione di riduzione, prevista dagli artt. 553 e ss. C.C., che è volta a far dichiarare invalidi (integralmente o parzialmente) gli atti, inter vivos o mortis causa, che hanno prodotto la lesione stessa.
I presupposti dell’azione sono la dimostrazione della qualità di legittimario e la lesività della disposizione testamentaria o della donazione nei confronti della quota che la legge riserva espressamente, e anche contro la volontà del de cuius, al legittimario.
L’azione di riduzione si dirige in primo luogo verso le disposizioni testamentarie e, qualora queste siano insufficienti, il legittimario agisce contro le donazioni, nel senso che la prima donazione in ordine di tempo sarà l’ultima a subire la riduzione.
L’effetto dell’azione di riduzione è una forma di inefficacia relativa del negozio lesivo, il quale viene reso inoperativo rispetto ai legittimari nella misura occorrente per la reintegrazione della quota ed essi riservata.
L’azione è soggetta all’ordinario termine di prescrizione di dieci anni, che decorre, nel caso di disposizione testamentaria, dal momento in cui l’erede designato dal de cuius accetta l’eredità, mentre, nel caso di donazione, dal momento dell’apertura della successione, ossia la morte del de cuius. Dunque, è ben possibile sottoporre a riduzione anche atti di donazione di venti o trent’anni prima, seppur con tutte le difficoltà probatorie che ne derivano (ad esempio, le banche conservano le movimentazioni bancarie soltanto per dieci anni).
Laddove le donazioni effettuate in vita dal de cuius siano tali da non pregiudicare, in sede di apertura della successione, la quota legittima, l’erede che non ne ha beneficiato può invece giovarsi del diverso istituto giuridico della collazione, disciplinata dagli artt. C.C., spesso concorrente con il precedente.
In tal modo, le donazioni effettuate in vita sono assolutamente regolari, ma dovranno considerarsi i rispettivi valori in sede di suddivisione della massa ereditaria, poichè vengono considerati dalla legge vere e proprie anticipazioni d’eredità, e come tali andranno computate.
Si tratta in ogni caso di un’azione che è sottoposta alla condizione di procedibilità della Mediazione Civile, che deve necessariamente essere esperita in via preliminare e che necessita di un approfondito studio per la più adeguata impostazione.
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